Carissimi nerd,
sono tornata, anche se
brevemente, con qualcosa di magnifico: le parole della talentuosa scrittrice di "Danza
Macabra", romanzo fantasy horror edito dalla Elpìs e disponibile già dal 24
gennaio 2018, (se non l'avete ancora letto, datevi una mossa!).
La dolcissima Gabriella Bertolino si
è resa molto disponibile rispondendo alle mie domande e per questo la ringrazio
infinitamente. Io, in prima persona, ho trovato le sue risposte formative e
interessanti, sia per quanto riguarda la scrittura e la sua esperienza
personale con essa che per la storia di come il suo romanzo sia effettivamente
nato.
Godetevi l'intervista completamente spoiler free!
- Quando è nata la tua passione per
la scrittura? È sempre stata presente o è nata in/tramite qualche circostanza
particolare?
Ho
conosciuto la scrittura e ho cominciato ad amarla in due momenti diversi della
mia vita.
All’inizio
mi è stata presentata da mia nonna. Avevo sette anni e non facevo che
tormentarla con le storie che mi passavano per la mente, quando mi consigliò di
provare a scriverne una, così che poi lei avrebbe potuto leggerla. In quel
momento probabilmente lo fece senza pensare, neppure sapeva che mi avrebbe
cambiato la vita.
In
realtà il cambiamento arrivò molti anni dopo, all’età di dodici/tredici anni.
Alle medie arriva sempre quel momento in cui occorre pensare cosa fare nella
vita, alle proprie ispirazioni, in cui bisogna scegliere il liceo che si
frequenterà. Non mi sembrava di avere interessi particolari o eccellere in
qualcosa, tutto quello che facevo durante il giorno era leggere, leggere
tantissimo. Alla fine mi resi conto che la risposta era proprio quella: perché
non provare a diventare come una di quegli autori che amavo tanto, provare a
scrivere delle storie tutte mie? (E ne avevo davvero, davvero tante). Ci siamo
incontrate così, io e la scrittura, e da quando ho cominciato a buttare giù le
mie prime parole non ho più smesso, cercando sempre di migliorarmi, di dare il
mio meglio.
- Cosa cerchi nella scrittura? Quale
pensi che sia l’ipotetico fine o scopo della scrittura? E quando scrivi pensi
più a te stessa o ai tuoi lettori?
La
scrittura è… l’amore della mia vita.
So
che è assurdo, ma è così.
Mi
rende felice e mi distrugge, la amo e a volte la odio, come la persona di cui
si è innamorati.
Non
passa un singolo istante senza che pensi a come poter tradurre in parole
scritte tutto ciò che immagino o che mi circonda, e non mi vedrei davvero a
fare altro, mai. (Sono certa che quando morirò mi troveranno a scrivere con le
ossa delle dita sulle pareti di terra della mia tomba.)
Scrivere,
a mio parere, ha del divino, del magico. Creare dal nulla ciò che non si vede,
non si ode, non si sente, eppure essere perfettamente capaci di farlo vedere,
di udire, di sentire, solo con l’uso di parole a cui si dà liberamente un
ordine: questa è magia. E nella scrittura cerco questo, cerco la magia.
Scrivere
per me è un bisogno, un’azione quasi involontaria, come il battito di un cuore,
non ha uno scopo se non quello di esserci, e basta. È fine a sé stessa.
Quando
scrivo, scrivo per me, per nessun altro. Ci siamo solo io e lei, mi impongo di
non pensare ad altro. Molti sostengono che si scriva più facilmente quando si è
tristi, che il bisogno nasca dal desiderio di sfogarsi, di parlare di un
problema che affligge. Ecco, personalmente non mi trovo d’accordo. Tutt’altro,
se ho un problema, se ho un brutto periodo o provo dei sentimenti negativi
verso qualcuno, non uso la scrittura come “sfogo”. Non vedo perché dovrei
dedicare ciò che è più importante per me alle cose negative, perché dovrei
“infettarla”, se vogliamo.
C’è stato un momento in
cui ho dimenticato tutto questo, in cui non sono riuscita più a scrivere niente
perché pensavo agli altri, ai loro pareri, ed è stato un periodo davvero
orribile. Ci ho messo un po’ a ricordare cosa fosse davvero importante.
- Sei anche un’appassionata
lettrice, giusto? Cosa vorresti trovare in un libro, qual è quella
caratteristica che un libro di qualunque genere deve avere per fartelo amare?
Deve potermi rapire
dalla realtà. Deve strapparmi dalla mia vita e darmene un’altra, non importa
quanto più difficile e spaventosa possa essere.
- Quali sono i tuoi libri preferiti?
Perché? Sono curiosa.
Amo
il fantasy, in assoluto, e ogni suo sottogenere, dall’high-fantasy, al
low-fantasy, al fantasy contemporaneo. Leggo anche tanto altro, ma non amerò
mai un libro come amo un fantasy.
Come
libri preferiti mi sento di citare la Canzone di Achille di Madeline Miller, le
Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin, Percy Jackson e gli
Dei dell’Olimpo di Rick Riordan, Reckless di Cornelia Funke. Lo so, sono molti
e molto diversi fra loro, ma adoro soprattutto gli stili con cui sono scritti,
seppur differenti, oltre al fatto che mi hanno regalato mondi, avventure ed
emozioni indimenticabili.
- Da cosa è nato “Danza Macabra”?
Da un incubo. Occorre
sapere che anch’io, come Rainbow, ho una gemella, che amo più di qualsiasi
altra cosa al mondo, Luciana, o Luce. Quasi ogni mio incubo è mosso dal fatto
che lei si trova in pericolo di vita e io non riesco a salvarla. Solo che
questo sogno, fatto anni fa, era diverso, perché io non ero più io: ero
Rainbow, e riuscivo a controllare, più o meno, l’elemento della terra, e mia
sorella si chiamava Mina, e controllava l’acqua. Indossavamo abiti ottocenteschi,
frequentavamo una scuola diretta da una donna che amava i corvi e mi odiava per
ciò che ero, ed eravamo costrette a partecipare ad un ballo che avrebbe
cambiato la nostra vita (per cui ho persino invitato un ragazzo che, però, mi
ha rifiutata). Insomma, il nucleo principale del romanzo, che ho voluto
riportare quasi alla lettera, intorno a cui ho potuto costruire un mondo e
tessere un’infinità di trame intricate.
- È stata la tua prima esperienza di
scrittura, giusto? Com’è stato scriverlo? Avevi tutto pronto nella tua mente e
lo hai tradotto solo in carta o si è rivelato più arduo di quanto pensassi?
È
stata la mia prima esperienza di pubblicazione, più che di scrittura. Ho
cominciato a scrivere anni prima di dedicarmi a Danza Macabra, più che altro
fan fiction e qualche storia originale che, se tutto va bene, non vedrà mai la
luce.
Il
fatto che la storia sia nata più o meno “pronta” da un incubo non mi ha reso
tutto molto facile. I personaggi sono arrivati, mi hanno fatto vedere cosa
fosse successo all’inizio, mi hanno bisbigliato la fine e poi hanno lasciato
tutto in mano ad una me sinceramente confusa e spaesata. Far combaciare ogni
singolo dettaglio, mentre quel mondo andava costruendosi, e ogni singola storia
delineandosi, è stato decisamente faticoso, spesso quasi infattibile. Lo
diventa sempre di più, perché ora non ho nessuna trama prestabilita a cui fare
riferimento, solo quello che posso ideare da sola, sperando che abbia un senso.
Danza
Macabra… è stato e continua ad essere il mio incubo migliore. È una sfida
scriverlo, ogni giorno, e lo è anche avere a che fare con personaggi tutti
cattivi e una protagonista piena di difetti (i miei difetti)… ma non potrei
davvero chiedere di meglio, al momento.
Adoro questa storia, in
tutto ciò che è e mi da.
- Rainbow e Mina, eh? Se non sbaglio
per questi due personaggi hai preso spunto da te e dalla tua gemella, giusto?
Quali caratteristiche avete più in comune voi due con le gemelle Macabre?
Per
fortuna, direi, il rapporto fra me e mia sorella è molto diverso dal rapporto
che Rainbow ha con Mina. Siamo una legata all’altra allo stesso modo, ma
sappiamo ascoltarci e badare una all’opinione dell’altra, cosa che purtroppo
nel romanzo non avviene.
Luce
ha molto in comune con Mina, è dolce, gentile e disponibile, ma non è ingenua,
e possiede anche un lato totalmente differente, che non la rende vittima delle
situazioni.
Rainbow,
be’… Rainbow sono io in tutto e per tutto, con una sola e unica differenza,
piccola ma sostanziale: io ho un motivo, qualcuno, per trattenermi, per essere
migliore, per non lasciarmi andare alla parte peggiore di me. Lei no.
- Parlaci di CAMERON, ti prego.
Di
Cameron Aidenair potrei dire davvero, davvero, tutto e insieme niente. Non
voglio fare spoiler, anche perché di lui e della sua famiglia si saprà molto di
più nel secondo libro.
È
un personaggio enigmatico, ambiguo, fondamentale che, però, preferisce restare
celato, a muovere le fila della trama. È stato un mistero anche per me fino
alla fine del romanzo, e non posso nascondere che continui ad esserlo, molto
spesso. Nella mia testa lo paragono spesso a un ragno, o ad un serpente.
È
assolutamente complementare a Rainbow, sono opposti in tutto e per tutto: lui è
nato con il potere della psiche, l’elemento più potente di tutti, lei con il
potere della terra, incapace di essere utilizzato; lui è il ragazzo più
popolare della scuola, lei la più detestata; lui agisce freddamente, secondo la
ragione e la razionalità, senza lasciarsi mai coinvolgere dai sentimenti e
dalle emozioni, lei è istinto puro, viene completamente dominata dalla rabbia e
dai pensieri negativi.
Per
questo si detestano: sono come nemici naturali.
In teoria non potrebbero
mai andare d’accordo…
Quest'ultima affermazione mi ha
letteralmente intrigata, a voi no?
Ringrazio nuovamente Gabriella e vi
sprono ancora una volta a leggere il suo capolavoro, di cui è presente la
recensione qui sul blog.
Spero l'intervista sia stata di vostro gradimento, a presto nerd.
Anna
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